La proposta del mediatore: ecco perché noi di Conciliare Conviene riteniamo che sia uno strumento utile

Corinne Isoni

Amata o odiata, richiesta o evitata. Stiamo parlando della proposta del mediatore.

Ho sempre avuto una qualche sorta di “attrazione” verso la proposta del mediatore.

Non è un caso, infatti, che una delle mie prime pubblicazioni fosse proprio sulla proposta in mediazione. Dal 2010 ad oggi di acqua sotto i ponti ne è passata molta, e posso dire di aver veramente provato e testato l’utilizzo di questo strumento in svariate occasioni.

Della bontà dello strumento ne sono consapevoli anche molti giudici di tutta Italia, tra cui spicca senz’altro il Giudice del Tribunale di Vasto e, per vicinanza alle nostre sedi, qualche Giudice del Tribunale di Tempio Pausania. Sono, dunque,  diverse centinaia ormai le ordinanze con le quali le parti vengono rimesse in mediazione, con l’indicazione che possano ricorrere a qualsiasi organismo iscritto nell’apposito registro istituito preso il Ministero della Giustizia, alla condizione che, nel regolamento dell’organismo di mediazione, non siano contenute clausole limitative della facoltà del mediatore di formulare una proposta conciliativa.

Lasciando momentaneamente da parte per un attimo le ordinanze dei vari giudici, ritengo possa essere utile ragionare sul ruolo del mediatore nello svolgimento delle sue funzioni.

Il mediatore potrebbe ritenere utile, al fine di agevolare le parti nella ricerca di una soluzione, nell’utilizzo delle tecniche di mediazione, transitare da un approccio di tipo “facilitativo” a un altro approccio, di tipo “valutativo” o “aggiudicativo”.

In altri termini, il mediatore non dovrebbe limitarsi alla sola facilitazione del dialogo tra le parti in lite, ma potrebbe essere importante, per aiutare le parti in lite, che il mediatore formuli una proposta conciliativa, che consenta loro di ragionare sulla controversia e di vedere il conflitto da un altro punto di vista.

Mi sembra utile, soprattutto in virtù della mia esperienza sul campo, ritornare al dettato normativo, ai sensi dell’art. 11, comma primo, del d.lgs. 28/2010. Questo, poiché molto spesso mi capita di è possibile individuare due ipotesi.

La prima prevede che il mediatore possa formulare la proposta conciliativa nel caso in cui le tecniche di tipo facilitativo da lui utilizzate non abbiano portato a un esito positivo. Più propriamente, anche in mancanza di richiesta delle parti, il mediatore può, tenuto conto dell’oggetto della controversia e degli interessi delle parti, formulare una propria proposta.

La seconda ipotesi prevede, invece, che il mediatore debba formulare una proposta conciliativa qualora vi sia una unanime richiesta delle parti protagoniste del procedimento di mediazione. 

Quindi, a differenza del caso sopra esposto, qualora vi sia una richiesta congiunta delle parti, il mediatore non ha la facoltà ma ha l’obbligo di formulare la proposta.

E’ quindi possibile che, qualora le parti non riescano a raggiungere l’accordo in modo indipendente, il mediatore “transiti” da delle tecniche di mediazione di tipo facilitativo, in cui si limita a far emergere gli interessi sottesi alle posizioni delle parti, a una mediazione di tipo valutativo, attraverso la formulazione di  una propria proposta.

Pare opportuno ricordare che la legge nulla prescrive relativamente al momento in cui la richiesta congiunta possa essere effettuata dalle parti e dunque si deve ritenere che la formulazione della proposta possa essere richiesta in qualsiasi fase del procedimento e che il mediatore non possa esimersi da tale compito.

Dunque nel primo caso, qualora le parti non riescano ad approdare in modo autonomo ad un accordo amichevole, il mediatore può discrezionalmente decidere se formulare una proposta, indipendentemente dalla volontà o dalle richieste delle parti; mentre nel secondo caso, il mediatore, qualora vi sia una richiesta unanime, è tenuto a formulare la proposta.

É importante sottolineare che, in ogni caso, la proposta del mediatore non è mai vincolante per le parti, che possono decidere se accettarla o meno.

Il legislatore, ha posto in capo al mediatore un unico adempimento nella fase antecedente a quella di formulazione della proposta, prevedendo che debba informare le parti sui possibili risvolti che si potrebbero prospettare nel successivo giudizio, in caso di un rifiuto da parte loro. Più precisamente, l’informativa che il mediatore è tenuto a fornire alle parti riguarda gli effetti previsti dall’art. 13 del d.lgs. 28/2010. Tale norma, al fine di far si che le parti valutino accuratamente, anche attraverso l’aiuto dei propri legali, la proposta del mediatore.

Una volta informate le parti relativamente alle conseguenze derivanti da un eventuale rifiuto e una volta formulata la proposta, quest’ultima deve essere comunicata alle parti per iscritto.

Solitamente, questo compito spetta alla segreteria dell’organismo di mediazione e trattasi di un adempimento previsto dal legislatore al fine di rendere maggiormente trasparente la procedura evitando inutili incomprensioni.

Entro sette giorni dalla trasmissione della proposta le parti devono far pervenire, per iscritto, l’accettazione o il rifiuto della stessa. In mancanza di tale risposta nel termine indicato, la proposta deve intendersi rifiutata.

A tal proposito sembra utile sottolineare che, il termine dei sette giorni non è da ritenersi perentorio. Potrebbe, infatti, accadere che le parti chiedano al mediatore o alla segreteria dell’organismo ulteriore tempo per riflettere sulla proposta o l’accettazione potrebbe pervenire l’ottavo giorno dalla trasmissione della stessa.

In caso di rifiuto della proposta di mediazione, il mediatore è tenuto a formare processo verbale, con l’indicazione della proposta. Il verbale di fallita mediazione contenete la proposta deve essere stilato sia nel caso di proposta formulata su richiesta congiunta delle parti, sia nel caso in cui la proposta derivi dalla discrezionalità del mediatore.

Molti organismi di mediazione al fine di mettersi al riparo da eventuali responsabilità che potrebbero gravare in capo all’organismo stesso in caso di “abuso” del potere attribuito al mediatore, il quale può in ogni momento formulare una proposta conciliativa, hanno limitato tale potere, prevedendo, attraverso una clausola inserita nei propri regolamenti, che la formulazione della proposta possa essere effettuata solo nel caso in cui questa venga richiesta congiuntamente dalle parti.

Tali regolamenti, che escludono la possibilità per il mediatore di formulare la proposta a prescindere dalla volontà delle parti, sono da considerarsi legittimi e validi in quanto hanno superato il vaglio del Ministero di Giustizia. Dunque, gli organismi sono obbligati a prevedere nel proprio regolamento che il mediatore debba formulare la proposta nel caso di richiesta unanime delle parti e possono, tuttavia, decidere di inserire o meno una clausola volta ad escludere la possibilità per il mediatore di formulare la proposta anche in difetto di volontà delle parti coinvolte nel procedimento di mediazione.

Al fine di comprendere il ruolo del mediatore in questa fase del procedimento, si riportano alcune indicazioni fornite dalla Relazione Illustrativa al decreto legislativo in cui si afferma che “il mediatore non è a differenza del giudice vincolato strettamente al principio della domanda e può trovare soluzioni della controversia che guardano al complessivo rapporto delle parti. Il mediatore non si limita a regolare questioni passate, guardando piuttosto a una ridefinizione della relazione intersoggettiva in prospettiva futura”.

Relativamente al contenuto della proposta, il legislatore lascia ampia libertà al mediatore con l’unico limite contenuto nell’art. 14 del d.lgs. 28/2010 secondo il quale la proposta di conciliazione deve essere formulata nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative.

Altra limitazione imposta dal legislatore è quella contenuta nell’art. 11, comma secondo, a norma del quale “salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento”. Dunque, al fine di preservare il principio della riservatezza, che rende possibile un atteggiamento di apertura delle parti nei confronti del mediatore, il legislatore impone, in mancanza di diversa volontà delle parti, che la proposta non possa contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite.

Si ricorda che, il mediatore potrebbe ritenere opportuno accompagnare la proposta da alcune considerazioni, ad esempio circa il percorso da lui effettuato nella formulazione, che consentirebbero una più agevole accettazione. Potrebbe, altresì, ritenere utile inserire nella proposta delle sanzioni che troverebbero applicazione nelle ipotesi di violazione del contenuto o di ritardo negli adempimenti degli obblighi stabiliti.

L’art. 7, comma secondo, lettera b) del d.m. 180/2010, disponendo che il regolamento dell’organismo può prevedere che la proposta possa essere formulata dal mediatore anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione, ammette la c.d. proposta in contumacia.

Ovviamente, è opportuno sottolineare che la proposta in contumacia non deriva da una previsione normativa, ma la legge prevede che gli organismi possano scegliere se inserire nel proprio regolamento una clausola che consente al mediatore, anche in assenza di una delle parti, di formulare delle proposte.

Gli organismi che nulla hanno previsto nei loro regolamenti e hanno, dunque, deciso di escludere tale possibilità per il mediatore, saranno caratterizzati ad avere delle procedure di mediazione nelle quali a seguito del primo incontro il mediatore dovrà limitarsi a dare atto dell’impossibilità di procedere con la mediazione per mancata adesione di una delle parti.

A tal proposito ci si è chiesti quali potrebbero essere le conseguenze derivanti dalla proposta formulata in contumacia, qualora tale possibilità non sia prevista dal regolamento dell’organismo. 

Secondo parte autorevole della dottrina, la proposta sarebbe comunque valida e dunque produttiva degli effetti previsti ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 28/2010. Questo in virtù del fatto che, non essendo la mediazione un procedimento tecnico in senso stretto, non è possibile dichiarare nullo un atto finale perché gli atti che precedono sono nulli o viziati. Dunque, anche in mancanza di una previsione regolamentare che consente al mediatore di formulare una proposta di mediazione, il verbale contenente tale proposta potrà essere considerato valido e atto a produrre tutti gli effetti previsti dalla legge.

Una proposta formulata in contumacia di parte terrà, ovviamente, conto dei soli interessi della parte presente in quanto basata sulle sole informazioni e sui soli documenti, eventualmente, presentati dall’unica parte che ha aderito al procedimento di mediazione.

Dunque, si ritiene che il mediatore debba fare molta attenzione nel valutare se spingersi verso una proposta che potrebbe essere, per sua natura, “sbilanciata”. Ovviamente, vi son delle controversie che maggiormente si prestano alla proposta in contumacia.

Si pensi, a titolo esemplificativo, a tutte quelle mediazioni che hanno ad oggetto il risarcimento del danno la cui quantificazione dipende esclusivamente da aspetti tecnici, oppure alle controversie che hanno ad oggetto la materia bancaria, dove la valutazione degli elementi tecnici e puramente economici è indispensabile.

Dalla mia esperienza ultradecennale, posso dire che molto utile potrebbe essere l’utilizzo della proposta in contumacia, nei conflitti c.d. multiparte.

L’invio della proposta alla parte o alle parti non aderenti, potrebbe “smuovere la situazione”, rendendo possibile un esito positivo del procedimento.

Un caso nel quale ho avuto modo di utilizzare la proposta in contumacia con esiti positivi, riguarda un tentativo di mediazione in materia di successione ereditaria. Il numero elevato di coeredi e la loro avanzata età aveva determinato la mancata adesione di due parti.

Nulla, in teoria, poteva essere fatto se non la verbalizzazione della mancata adesione. Tuttavia, durante il primo incontro, le parti presenti avevano manifestato il loro interesse a voler risolvere la questione bonariamente.

A seguito del primo incontro, grazie agli spunti offerti dalle parti che avevano prospettato delle soluzioni che potevano essere valutate positivamente anche dalle parti assenti e attraverso la preziosa collaborazione dei loro legali, esaminato il regolamento dell’organismo che aveva provveduto alla nomina, il quale consentiva al mediatore di formulare la c.d. proposta in contumacia, si è proceduto a predisporre una proposta e ad inviarla a tutte le parti, comprese ovviamente, le parti che risultavano assenti al primo incontro.

Tutte le parti, anche quelle inizialmente assenti, hanno accettato la proposta e hanno accettato di aderire alla procedura. La mediazione si è conclusa con un verbale di riuscita mediazione e con l’accettazione della c.d. proposta in contumacia.

Altro caso, in cui la proposta in base alla mia esperienza, è stata utile riguarda in casi di impasse.

Capita spesso che, durante un cammino di mediazione, ci si trovi in un momento di stallo, spesso perchè le parti hanno paura di sbilanciarsi con proposte oppure anche perchè vengono fatte proposte che tendono a risolvere il problema in modo poco creativo, senza allargare la cosiddetta torta negoziale.

Ecco, che la proposta del mediatore, è risultata essere spesso una carta vincente, portando le parti a ragionare su aspetti che spesso vengono tralasciati.

Infine, anche nelle mediazioni online, abbiamo notato che lo strumento della proposta del mediatore  può essere molto utile (se desideri approfondire il tema della mediazioni svolte a distanza vai all’articolo del nostro blog seguendo questo link: https://conciliareconviene.com/mediazione-online-una-vera-e-propria-opportunita/).

Infatti, durante le sessioni di mediazione tenute in videoconferenza, è per certi versi più facile “perdere il punto in cui si è arrivati” e la proposta può venirci in soccorso in questo senso, mettendo ordine e facendo riflettere le parti sui passi in avanti che son stati fatti durante le varie sessioni.

Ritornando alle conseguenze che potrebbe avere la mancata accettazione della proposta di mediazione, come già detto quando si è parlato dell’informativa che il mediatore è tenuto a fornire prima della formulazione della proposta, dobbiamo distinguere due diverse ipotesi.

La prima è relativa alle conseguenze che potrebbe avere la mancata accettazione nel caso in cui vi sia piena corrispondenza tra il contenuto della proposta e il provvedimento che definisce il giudizio e la seconda, invece, è relativa alle conseguenze che potrebbero esserci, qualora ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, nel caso in cui non vi sia perfetta corrispondenza tra la proposta e il provvedimento emesso dal giudice successivamente adito. 

Al fine di comprendere quale sia la ratio della norma in esame, si ritiene opportuno analizzare il contenuto della relazione illustrativa al decreto legislativo. Le conseguenze previste dalla normativa devono essere lette come dei meccanismi di incentivo alla mediazione che tendono a dimostrare che il comportamento tenuto, durante il procedimento di mediazione, della parte vittoriosa, “è stato ispirato a scarsa serietà e che la giurisdizione è stata impegnata per il risultato che il procedimento di mediazione avrebbe permesso di raggiungere in tempi molto più rapidi e meno dispendiosi” e, in ultima analisi, tale normativa deve essere “intesa come risposta dell’ordinamento alla strumentalizzazione tanto della mediazione che del servizio giustizia”.

Inoltre, non si deve scordare che, il comma primo dell’art. 13, prevede che oltre alle conseguenze già esaminate, resta ferma l’applicabilità egli articoli 92 e 96 del c.p.c. Ai sensi dell’ art. 92 c.p.c. il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue, e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione dei propri doveri, essa ha causato all’altra parte. Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri gravi motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. L’art. 96, invece, prevede che qualora risulti che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna al pagamento delle spese e al risarcimento del danno.

Queste conseguenze, sono dunque il “rovescio” della medaglia della proposta del mediatore. Inoltre, sono spesso il motivo per cui molti avvocati risultano essere titubanti nel suo utilizzo.

Per ovviare a tale problema, sono riuscita spesso, mettendo in campo le capacità negoziali, a trovare delle soluzioni alternative. Come ad esempio, quella di formulare delle proposte informali, che hanno il solo scopo di far riflettere le parti sedute attorno al tavolo della mediazione, mettendole a riparo a eventuali conseguenze in caso di rifiuto.

Molto spesso, in questi casi la proposta è uno strumento adeguato da cui partire per poi inserire eventuali osservazioni delle parti e dei loro legali, al fine di costruire un accordo sulle esigenze e i bisogni delle parti sedute attorno al tavolo della mediazione.

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Oppure scrivici alla mail: info@conciliareconviene.it

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