Angela Nurra
Per comunicare in maniera efficace bisogna saper ascoltare.
L’ascolto “attivo” è una competenza fondamentale per un buon Mediatore e un buon Coach, è l’ingrediente base per instaurare buone relazioni sociali nella vita privata e sul lavoro.
“Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che abbia ragione e chiedergli di aiutarti a capire come e perché”. (Marinella Sclavi: L’arte di ascoltare e mondi possibili).
E’ nel mio duplice ruolo di mediatore e di coach che ho capito sempre più l’importanza dell’ascolto attivo e quanto potere comunicativo riesce a sprigionare. Il mio approccio con le parti in mediazione è improntato da un atteggiamento esplorativo libero dal giudizio. La persona ascoltata si apre con serenità alla riflessione e si concede con fiducia al confronto. Ascoltare in modo attivo vuol dire collegarsi all’altro, cogliere ogni aspetto del messaggio. Tutto ha un significato: la postura, il tono di voce, le esitazioni e le emozioni che trapelano da quanto viene detto.
Si è consolidata così, sempre più in me, la certezza che nessun accordo può essere raggiunto se prima non si ascoltano i bisogni di ciascuna parte nella loro individualità.
Affascinata dal processo mentale che il linguaggio e l’ascolto attivo innescano sulle persone, ho voluto così dedicarmi anche all’ascolto/supporto del singolo individuo tramite il coaching.
Il mediatore così come il coach sono dei facilitatori, entrambi, attraverso l’uso di domande aperte ed esplorative, mirano a supportare le persone per il raggiungimento dei loro obiettivi.
Come una torcia, loro non ti indicano la via da percorrere ma ti mettono nelle condizioni di vedere meglio dove stai andando e di scegliere cosa è meglio per te.
Il ruolo del Coach è quello di aiutare le persone a sprigionare le proprie risorse nascoste per raggiungere gli obiettivi nella vita, nello sport e nel lavoro, aiutandole a prendere consapevolezza delle loro convinzioni limitanti e a superarle.
Il ruolo del Mediatore è di facilitare le parti nel raggiungimento di un accordo che sia il più possibile vicino all’ottima riuscita.
Quando due parti vengono in mediazione lo fanno perché, dietro alla controversia, c’è il desiderio di soddisfare un bisogno. Hanno necessità che si ripristini una situazione dove il dialogo, l’ascolto e il confronto si son persi per una molteplicità di vicissitudini, delusioni, aspettative disattese, tutte intrise di emozioni non esternate, non espresse ma represse. Emozioni che hanno alimentato rancore, risentimento e rabbia. La mancanza di una comunicazione aperta al confronto porta alla chiusura, al non voler vedere le cose in un’ottica più ampia ma soltanto dal lato del proprio punto di visione. Il vissuto di ciascuno porta a dare interpretazioni che appaiono discordanti, a volte opposte per la stessa identica situazione, e non è facile, a volte pare impossibile, provare ad immedesimarsi nel ruolo dell’altro.
Col supporto del mediatore, la mediazione è un’ottima opportunità per concedersi la possibilità di analizzare il fatto da una prospettiva più ampia, spostandosi di volta in volta nei vari punti di vista senza focalizzarsi su un unico particolare.
Non esistono interpretazioni buone o cattive. Se è vero che la percezione della realtà è soggettiva e dipende dall’osservatore e dalla sua concezione del mondo, accettiamo che esistano tante interpretazioni quanti sono gli osservatori.
Forse la rabbia vuole ricordarci che non stiamo comunicando bene con gli altri. Se ne prendiamo atto, possiamo rimediare. Ogni persona fa ciò che può, dà il meglio di se con gli strumenti che ha. Una volta capito questo siamo in grado di comprendere meglio l’altro e ascoltare meglio noi stessi.
Il mediatore e il coach, creano innanzitutto una condizione di comprensione e fiducia, per cui pian piano ci si possa sentire a proprio agio, ci si senta al sicuro di poter esprimere le proprie emozioni e sensazioni riguardo la controversia da risolvere, l’obiettivo da raggiungere.
Ogni punto di vista ha la sua importanza e peculiarità, ogni punto di vista parla della persona. Si analizza quale sia l’obiettivo per l’ottenimento del quale si chiede supporto, cosa rappresenta l’ottenimento di quell’obiettivo per la parte che lo richiede?
Quale bisogno è nascosto dietro l’obiettivo?
Da cosa è generato quel bisogno?
Per capirlo il mediatore/coach ci guida a spogliarci dal giudizio, da tutte le generalizzazioni, da tutte le interferenze esterne che distorcono la percezione della realtà. Solo allora sapremo qual è il nostro vero valore da proteggere e salvaguardare. Tutto il resto ci allontana dal nostro vero obiettivo.
“Preferisci avere ragione o essere felice?”
Faccio spesso questa domanda alle parti in mediazione e ai miei coachee.
L’abilità del mediatore sta, nel portare le parti a produrre una molteplicità di opzioni volte a risolvere il conflitto e, solo dopo, la decisione scelta avrà molte più probabilità di essere adeguata e di essere implementata.
Le parti collaborano alla sua efficacia e alla sua realizzazione.
Un buon accordo per essere tale deve saper durare nel tempo e non arrecare disturbo ad alcuno, in caso contrario non avrebbe lunga vita e non avrebbe ragione di esistere. L’obiettivo dell’Accordo è ottenere la soddisfazione dei bisogni di entrambe le parti e mantenerla nel lungo periodo con emozioni positive.
E così il Coach: aiuta il suo coachee a pianificare le azioni che intende mettere in pratica per raggiungere ciò che desidera ottenere nel futuro, a individuare potenziali alleati e risorse, ad identificare eventuali ostacoli da superare. Alla pari di un Accordo di Mediazione, un buon Piano d’Azione deve stabilire nel dettaglio modi, tempi, strategie, azioni per realizzare l’obiettivo prestabilito.
Al prossimo appuntamento esploreremo insieme le 4 fasi di una delle tecniche più utilizzate nella conduzione delle sessioni di coaching: il modello GROW ideato da John Withmore uno dei padri fondatori del coaching, e come la stessa possa implementarsi con gli strumenti utilizzati dal mediatore nel procedimento di mediazione.